MICROMACROCOSMO

 

 

Fin dagli albori della civiltà l’uomo, curioso per natura, si è chiesto quale fosse la struttura di tutta la materia che lo circondava, dalle cose appena visibili, a quelle più grandi o lontane.

Questa storia comincia circa 2.500 anni fa quando, nell’antica Grecia, Democrito cominciò ad interrogarsi sulla struttura della materia, ipotizzando che questa fosse costituita da particelle piccolissime ed indivisibili che chiamò " atomi ". Nei secoli successivi, però, prevalse la dottrina aristotelica che, al contrario della teoria atomica, ipotizzava la divisibilità infinita della materia, negando quindi l’esistenza degli atomi.

Dall’altro lato della scala delle grandezze, gli astrologi osservavano il cielo notturno, ritenendolo immutabile, senza troppo indagare sulla natura di quelle scintille che chiamavano stelle. Solo dopo Galileo e Copernico si capirà che quelle scintille sono astri come il nostro sole.

La teoria aristotelica, accettata anche dalla Chiesa, regnò quasi indisturbata fino all’inizio del XIX secolo, quando il chimico-fisico Dalton, sulla base di esperienze pratiche, evidenziò che le sostanze reagiscono fra di loro secondo rapporti ben definiti e costanti riproponendo, in pratica, l’idea di Democrito e l’indivisibilità dell’atomo.

Gli astronomi, intanto, cercavano di capire quale fosse la sorgente dell’enorme quantità di energia emessa dal Sole (e dalle altre stelle) teorizzando,fra l’altro, che fosse fatto di carbone che bruciava. In quel tempo, il carbone era la fonte di energia più potente che si conoscesse.

In quegli stessi anni, l’invenzione dello spettroscopio e la nascita della spettroscopia avevano fatto scoprire che molti elementi, se riscaldati, emettevano una luce colorata tipica che permetteva di scoprirli all’interno di ogni sostanza. E gli astronomi scoprirono la presenza di molti di questi elementi sia nella luce del Sole che sulle altre stelle.

Nel 1897,quando J.J. Thompson scoprì l’elettrone, la prima particella subatomica, la teoria dell’indivisibilità dell’atomo entrò in crisi. Le scoperte della radioattività nel 1896 (Bequerel) e del radio (1902) (Curie) diedero il colpo di grazia.

Gli astronomi cominciarono a chiedersi se la radioattività, in qualche modo, potesse essere la sorgente di energia che cercavano, perché il modello del Sole fatto di carbone non reggeva alla prova del tempo, inteso come età, dato che i geologi avevano cominciato a capire che i fossili erano vecchi di milioni di anni (e il Sole doveva essere nato prima); se il sole fosse stato carbone, si sarebbe esaurito in poche migliaia di anni.

La scoperta della divisibilità dell’atomo fece nascere la fisica delle particelle elementari (o delle alte energie). L’elettrone è una particella leggerissima (circa 1840 volte di meno dell’atomo di idrogeno, l’atomo più leggero che esista), dotata di carica elettrica negativa. Però un atomo normale non possiede carica elettrica.

Divenne quindi necessario ipotizzare l’esistenza di cariche positive all’interno dell’atomo, da contrapporre a quelle negative dell’elettrone.

Nel 1904 lo stesso Thompson propose che l’atomo fosse formato da un certo numero di elettroni vaganti all’interno di una sfera di elettricità positiva. In questo modello, essendo gli elettroni liberi di muoversi, se venivano "disturbati" tramite somministrazione di energia termica od elettrica potevano emettere luce (fiamma- fuochi artificiali; filamenti incandescenti- lampadine).

Secondo questa teoria l’energia assorbita faceva oscillare gli elettroni i quali cedevano poi questa energia sotto forma di radiazione elettromagnetica.

Calcolando la frequenza di tali oscillazioni, e confrontando i risultati con le frequenze delle radiazioni rivelate dagli spettroscopi, Thompson non solo trovò un buon accordo, ma riuscì a calcolare il diametro del suo modello di atomo: circa 10-7 mm (10.000.000 di atomi in fila per avere la lunghezza di 1 mm).

Un anno dopo, 1905, Einstein pubblicò la sua Teoria della Relatività, che unificava lo spazio ed il tempo, fino ad allora divisi, e proponeva l’equivalenza tra massa ed energia con la sua celebre equazione: e=mxc2 . Cominciava così ad essere tracciata la strada per trovare la fonte di energia del sole.

La scoperta della radioattività aprì la strada ad una serie di altre scoperte, fra le quali, un’emissione molto penetrante da parte di certi elementi, che fu chiamata "emissione alfa". Questa emissione risultò essere di natura corpuscolare: una particella alfa possedeva una carica positiva doppia di quella negativa dell’elettrone, ed una massa quattro volte maggiore di quella dell’atomo di idrogeno.

Stuzzicato da queste scoperte, E. Rutherford, fece numerose esperienze sul passaggio delle particelle alfa attraverso lamine metalliche ed osservò che, in contraddizione a quanto previsto da Thompson (atomo pieno), una buona parte di queste particelle attraversavano indisturbate le lamine, mentre le altre venivano fortemente deviate o,addirittura, tornavano indietro come se avessero sbattuto contro un muro.

Questi risultati, del tutto inconciliabili con il modello atomico di Thompson, condussero Rutherford ad ipotizzare un nuovo modello di atomo, nel quale la carica positiva e, praticamente tutta la massa dell’atomo risultavano concentrate in una zona centrale piccolissima, (circa 10.000 volte) rispetto all’atomo stesso, detta nucleo.

Intorno al nucleo, su varie orbite circolari, giravano tanti elettroni quanti ne bastavano a compensare le cariche positive; in questo modo l’atomo risultava elettricamente neutro e praticamente vuoto. L’atomo, insomma, veniva visto come un microscopico sistema solare.

Fu lo stesso Rutherford, nel 1912, a suggerire il nome protone per definire la particella subatomica che, da sola, formava il nucleo dell’atomo di idrogeno e che era stata scoperta già 25 anni prima, senza però che se ne fosse capita la natura.

Il problema fondamentale di questo modello era che, se così fosse stato, l’atomo sarebbe esistito solo per una frazione infinitesima di secondo. Per la teoria classica, infatti, un elettrone in moto lungo un’orbita è costretto ad emettere energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Per questo motivo gli elettroni atomici si sarebbero dovuti muovere lungo traiettorie a spirale fino a cadere sul nucleo, con distruzione dell’atomo stesso.

Visto che la materia è stabile si provò ad applicare delle idee strane e sconvolgenti elaborate in quegli anni da M. Planck, che contraddicevano le idee fino ad allora accettate (e verificate) sull’elettromagnetismo. Iniziava così l’era della meccanica quantistica.

Planck, studiando la luce emessa da corpi incandescenti,aveva trovato una formula che spiegava bene i dati sperimentali, ma era in forte contraddizione con i concetti dell’elettromagnetismo.

Per giustificare i suoi risultati, Planck suppose che la luce potesse essere emessa o assorbita solo in quantità ben precise che chiamò quanti, ognuno dei quali possedeva una certa quantità di energia, proporzionale alla frequenza della radiazione (in pratica, una radiazione rossa possedeva meno energia di una blu).Einstein accettò questa teoria e chiamò fotone questa quantità minima di energia elettromagnetica. Nel 1923, Compton, studiando gli urti degli elettroni con i raggi X, confermò la natura particellare della radiazione. Ancora una volta veniva smentito l’antico detto "natura non facit saltus"

L’ipotesi quantistica fu utilizzata da N. Bohr, nel 1913, per proporre un nuovo modello di atomo: nucleo piccolissimo ed elettroni ruotanti intorno come nel modello di Rutherford; ma stavolta gli elettroni sono obbligati a ruotare in orbite permesse da certi valori di energia, per i quali l’atomo è stabile.

A completare l’opera P.A.M. Dirac, nel 1928, estese la teoria quantistica alla relatività di Einstein, concludendo che, accanto ad ogni particella, doveva esistere la corrispondente antiparticella, uguale come massa, ma di carica opposta. Quattro anni dopo, C. Anderson individuò il positrone (antiparticella dell’elettrone)nei raggi cosmici (radiazioni di alta energia provenienti dallo spazio e di origine allora ignota); venne anche confermata l’altra previsione di Dirac: quando una particella si scontra con la corrispondente antiparticella, ambedue scompaiono generando un fotone di alta energia (annichilazione) e ,viceversa, un fotone può scomparire generando una coppia particella- antiparticella.

Ancora una volta fisici nucleari ed astrofisici camminavano a braccetto.

Alcuni anni dopo, nel 1932, con la scoperta del neutrone, si poté completare la struttura dell’atomo: il nucleo era formato da protoni e neutroni in numero pressoché uguale, mentre gli elettroni ruotavano intorno, secondo quanto ipotizzato da Bohr.

Rimaneva ancora qualcosa di non spiegato nella struttura del nucleo: come mai i protoni, dotati della stessa carica elettrica e quindi, secondo l’elettromagnetismo classico, soggetti a repulsione reciproca, stanno tutti insieme nel nucleo? Il nucleo, da questo punto di vista, dovrebbe praticamente esplodere ed invece è stabile (tant’è che noi, fatti di atomi, esistiamo). Ed ancora: quale parte recitano i neutroni nel nucleo?. L’unica spiegazione possibile è che protoni e neutroni interagiscono tramite una forza che agisce solo dentro il nucleo e che annulla l’attrazione elettrostatica fra i vari protoni: venne chiamata "interazione forte". Ed è forte davvero: 100 volte maggiore di quella elettrostatica.

Studi successivi, condotti fino agli inizi degli anni ’60, portarono alla scoperta teorica, poi confermata in pratica, di un gran numero di altre particelle sempre più piccole.

Questo avvenne sia attraverso l’uso di macchine sempre più sofisticate e potenti costruite nei laboratori di fisica (acceleratori di particelle), sia studiando i raggi cosmici ed i prodotti dei loro urti con le molecole dell’aria.

Fra queste famiglie di particelle, spiccavano i cosiddetti "quark", costituenti i protoni e i neutroni. Così come il nucleo di un atomo era 10.000 volte più piccolo dell’atomo stesso, analogamente si scoprì che i quark erano particelle 10.000 volte più piccole dello stesso protone. La materia, a questo punto, sembra proprio una scatola cinese!

A complicare le cose, c’era ancora da chiarire in quanti modi la materia ed i suoi costituenti potevano interagire con se stessi.

Ulteriori studi portarono infine alla definizione di solo quattro forze fondamentali, in grado di spiegare tutte le interazioni possibili fra particelle sia atomiche che subatomiche; in ordine di forza crescente queste sono:

1-interazione gravitazionale – molto debole, agisce fino a distanze infinite ma non a livello atomico

2- interazione debole- agisce a livello dei costituenti di protoni e neutroni (i cosiddetti "quark")

3- interazione elettromagnetica- agisce a livello di particelle cariche (protoni, elettroni)

4-interazione forte- agisce all’interno dei nuclei atomici.

La messa a punto, in quegli stessi anni, delle tecniche di fissione nucleare prima e della fusione poi (tragicamente applicate nelle bombe A e H) portò gli astronomi alla conclusione, verificata studiando il Sole, che il meccanismo di generazione dell’energia delle stelle è proprio la fusione nucleare: due o più nuclei di atomi leggeri si fondono insieme generando un nucleo più pesante; durante la fusione una parte delle masse dei nuclei (poco meno del 10%) viene convertita in energia secondo l’equazione di Einstein.

Il Sole, che brilla da circa 5 miliardi di anni, per esempio, ha consumato solo la metà della sua riserva di idrogeno.

Un’altra domanda rimaneva ancora senza risposta: come è nato l’Universo? Una risposta semplicissima la troviamo nella Bibbia: "e la luce fu". Una più complicata e non ancora conclusiva è la teoria del Big Bang: da una fluttuazione del vuoto quantistico (che malgrado il nome non è per niente vuoto) si generò, all’improvviso, un’esplosione di energia di inimmaginabile potenza e temperatura la quale, dilatandosi sempre più e raffreddandosi, dopo circa 300.000 anni, si condensò nella luce e nella materia che noi oggi (dopo circa 15 miliardi di anni) chiamiamo idrogeno, deuterio ed elio.

Da questi tre elementi, attraverso generazioni successive di stelle, si sono generati tutti gli altri, dal litio all’uranio.

Negli ultimi decenni la costruzione di macchine sempre più potenti e gli studi approfonditi condotti tramite satelliti artificiali hanno portato all’individuazione di nuove particelle di energia (e quindi di massa) sempre maggiore che, dal punto di vista astronomico, corrispondono ad un viaggio all’indietro nel tempo, fino ai primi istanti di vita dell’Universo (circa un secondo dopo il big bang).

Da questo momento e fino ad un’età di circa 200 secondi, tutto quello che è accaduto nell’Universo primordiale è perfettamente riproducibile negli acceleratori di particelle a disposizione degli scienziati ed in ottimo accordo con le osservazioni astronomiche.

Ma l’uomo, si sa, è curioso e non gli basta essere risalito fino ad una microscopica frazione di secondo dopo l’origine dell’Universo; vorrebbe spingersi oltre, fino a 10-43 secondi (un decimo di milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo) dal Big Bang, fino al tempo, cioè, nel quale le quattro forze fondamentali si separarono permettendo all’Universo di diventare così come oggi lo vediamo.

Per disgrazia dei fisici nucleari, però, per costruire una macchina di dimensioni adatte a far scontrare le particelle con una energia simile a quella dei primissimi istanti dopo il Big Bang, non basterebbe lo spazio fra il Sole e la stella più vicina.

La scappatoia alla costruzione di questa macchina è offerta dagli astrofisici i quali, studiando le radiazioni (soprattutto microonde e raggi gamma) provenienti dalle regioni più remote dell’Universo, riescono a risalire indietro nel tempo fino a circa 10-33 secondi (un milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo) quando l’intero universo era circa 10 volte più piccolo di un protone.

Il brevissimo periodo di tempo compreso fra 10-35 e 10-33 secondi è il cosiddetto "periodo inflazionarlo" durante il quale l’Universo si "gonfiò" smisuratamente passando da un diametro di circa 3x10-25 centimetri (circa 10.000 miliardi di volte più piccolo di un protone) fino a circa 10-15 centimetri. L’esplorazione di questa infinitesima frazione di secondo sarà possibile con la prossima serie di satelliti che studieranno, con una precisione senza precedenti, le radiazioni (microonde e raggi gamma) provenienti dagli estremi confini dell’Universo: non dimentichiamo che più guardiamo in profondità nello spazio, più guardiamo indietro nel tempo.

Ma più guardiamo indietro nel tempo, maggiore è la possibilità (per non dire la certezza) che le nostre leggi fisiche non funzionino e quindi l’Universo resti "inconoscibile".

In altre parole, per spingerci fino ai 10-43 secondi od anche più indietro, abbiamo bisogno di elaborare e verificare nuove teorie perché né la meccanica quantistica né la relatività riescono a spiegarci cosa accadde in quel fatidico istante di singolarità corrispondente al biblico "fiat lux".

E. Territo

Liberamente tratto da articoli di "l’Astronomia" e "Le Scienze"

 

 

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